L'altro volto dell’Europa. I Balcani tra integrazione europea e diritti umani

Belgrado

 

Anche Belgrado e il territorio della Serbia furono toccati dalla guerra. Fu la NATO a intraprendere un'operazione militare con massicci bombardamenti su Belgrado e la Repubblica Federale di Jugoslavia che all'epoca comprendeva Serbia, Montenegro e le province autonome del Kosovo e della Vojvodina.  Gli attacchi aerei iniziarono il 24 marzo 1999 e durarono per 78 giorni scaricando 2700 tonnellate di esplosivo sul paese( Bombardamenti su Belgrado 1999). Per la prima volta la NATO agì senza l'approvazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. La motivazione  principale per cui si diede inizio ai bombardamenti fu il rifiuto di Slobodan Milošević, presidente della Repubblica serba, di trattare con gli albanesi del Kosovo e la comunità internazionale per firmare una tregua alla guerra avviata nel 1998  e porre fine alla pulizia etnica contro la popolazione kosovara albanese. Infatti, Milošević non aveva accettato di ritirare le proprie truppe dal Kosovo rifiutando così l'accordo di Rambouillet, che prevedeva anche il dispiegamento delle truppe NATO sul territorio serbo. 

La popolazione serba, stremata da anni di crisi, guardava con molta amarezza quello che veniva percepito come un ulteriore attacco alla stabilità del paese e considerato dalla maggioranza come non necessario.   

I bombardamenti causarono la distruzione delle infrastrutture del paese: telecomunicazioni, centrali elettriche, industrie, reti stradali e ferroviarie; l'economia della Serbia, che negli anni dal 1990 al 1993 aveva registrato un calo del PIL pari al 60%, e un'inflazione altissima, con l'embargo e i bombardamenti aveva ulteriormente peggiorato la propria situazione; nel mese di settembre del 1999 il livello di povertà generale aveva raggiunto dei nuovi picchi se si considera che il 63% della popolazione viveva con un reddito mensile pari a 60 dollari o meno. 

L'intervento della NATO si concluse il 9 giugno 1999 con l'accordo di Kumanovo (Macedonia) che prevedeva il progressivo ritiro dal Kosovo delle truppe serbe, l'autonomia della regione che veniva affidata all'amministrazioe dell'Onu. Per il mantenimento della pace si prevedeva  l'intervento di oltre 37 mila militari della Kfor, la Forza Nato.

Oltre a enormi distruzioni, (35.450 cluster bombe lanciate, 995 obiettivi colpiti, 3.650 strutture pubbliche danneggiate) i bombardamenti degli aerei, che partivano principalmente da portaerei in Adriatico e basi Nato in Italia, causarono in Serbia, a seconda delle fonti, fra 1.200 e 2.500 morti, oltre a 12 mila feriti. Per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale l'Italia prese parte  a un'operazione di guerra contro un altro stato, violando l'art.11 della Costituzione. Ciò diede vita a un acceso dibattito nel paese. (I frutti amari di quella prima guerra umanitaria , 2019 di Luciana Castellina)

Nel 2000 Milošević venne sconfitto alle elezioni da Vojislav Kostunica: cercò di contestare il risultato del voto, ma fu costretto ad abbandonare il potere da una grande e pacifica rivolta popolare.

Il 28 giugno 2001 Slobodan Milošević, già arrestato nell'aprile per reati finanziari, fu consegnato al Tribunale Internazionale dell'Aja per rispondere ad accuse gravissime di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità in Kosovo, in Bosnia Erzegovina e in Croazia. Iniziò un processo lunghissimo, che si protrasse nel tempo sia perchè Milošević decise di difendersi da solo e chiamò 1600 tesimoni a deporre sia per le precarie condizoni di salute che rallentarono le sedute e che lo portarono alla morte l’11 marzo 2006, mentre era detenuto nel carcere di Scheveningen all’Aja (nei Paesi Bassi), prima che fosse stata pronunciata  una condanna definitiva nei suoi confronti.

APPROFONDIMENTI

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