Con l'entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940 si mobilitarono nell'esercito 1.630.000 uomini di truppa e 53.000 ufficiali, un esercito del tutto impreparato e mal equipaggiato.
I giovani inquadrati nelle strutture della Gioventù fascista avevano ricevuto un addestramento premilitare, ma per metà degli uomini non c'era l'equipaggiamento, neppure il vestiario; infatti una parte dei richiamati li rimandarono a casa per alcuni mesi in attesa delle forniture. Ad alcuni reparti si distribuirono equipaggiamenti invernali in pieno giugno e luglio e partirono per l'Africa a 50 gradi all'ombra, mentre nella "Battaglia delle Alpi" si erano distribuite quelle estive. Una tempesta di neve in pieno giugno paralizzò uomini e mezzi. Lo stesso generale Badoglio disse "la nostra efficienza operativa è del quaranta per cento".
Partirono per la guerra migliaia di giovani, sia quelli coscritti, sia quelli che si mobilitarono nei 220 battaglioni della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le camicie nere), un corpo inizialmente pensato come milizia ad uso esclusivo del Partito Nazionale Fascista (rispondeva solo al Presidente del Consiglio dei ministri ed a lui solo era dovuto il giuramento, in contrasto con l'obbligo di giuramento al sovrano), ma che nel tempo finì col mescolarsi quasi del tutto con il Regio Esercito.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’esercito italiano fu allo sbando, molti militari si tolsero l'uniforme e indossarono abiti borghesi, si nascosero per non essere catturati dai tedeschi e in questo furono spesso aiutati dalla popolazione civile. Purtroppo però molti di quelli che si rifiutarono di passare nell’esercito tedesco furono rastrellati e deportati nei campi di concentramento presenti nei territori del Terzo Reich. Non venne loro concesso lo status di prigionieri di guerra (per non riconoscere loro le garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra), ma quello di Internati Militari Italiani (IMI).