Il Museo-Memoriale di Potočari
Potočari, località a tre chilometri a Nord di Srebrenica, ospita oggi il Memoriale dove sono seppelliti e si ricordano gli 8372 bosniaci musulmani, di età compresa tra i 14 e i 79 anni, vittime del primo genocidio avvenuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.
Di fronte al cimitero si trova l’ex fabbrica di batterie che, dal 1993 al 1995, fu la sede del comando del battaglione olandese della missione ONU “UNPROFOR” che aveva il compito di difendere l’area protetta di Srebrenica; dal 2017 è divenuta un Museo, dove un’ esposizione permanente ricostruisce la vicenda dell’assedio di Srebrenica e il genocidio che vi avvenne nel luglio del 1995 attraverso materiale audiovisivo, fotografie inedite, interviste ai militari del battaglione olandese e ai testimoni di quei terribili eventi.
Il genocidio del luglio 1995
Proprio a Potočari arrivarono, la mattina dell’11 luglio, abbandonata Srebrenica, i caschi blu dell’ONU, seguiti da circa 25.000 civili terrorizzati.
Il 12 luglio 1995, le truppe serbe al comando del generale Ratko Mladic (Ratko Mladic Srebrenica, luglio 1995) entrarono nella base militare Onu a Potočari. Mladic pretese la consegna delle armi e annunciò che sarebbe stata rispettata la Convenzione di Ginevra e che sarebbero arrivati più di cinquanta automezzi per trasportare in territorio musulmano tutti i civili. Ma prima di salire, i maschi di età compresa tra i 13 e i 70 anni ( cioè tutti coloro giudicati in grado di combattere) furono separati dalle donne e dai bambini, ufficialmente per essere interrogati, in realtà per essere portati verso l'edificio dell’ex fabbrica dove iniziarono le violenze, le esecuzioni sommarie, gli stupri sulle donne.
Tra il 12 luglio e il 21 luglio furono deportati circa 23000 tra donne e bambini bosniaci. Centinaia di uomini e ragazzi furono ammazzati sul posto, mentre altri vennero deportati altrove e poi uccisi.
A partire dal 13 luglio Bratunac, a venti chilometri da Srebrenica, diventò il centro della carneficina; per quattro giorni, scuole, dighe, magazzini, grandi spiazzi, fabbriche divennero i luoghi prescelti per il massacro. Le esecuzioni proseguirono per ore e ore e i cadaveri furono gettati in enormi fosse comuni.
Tra l’11 e il 16 luglio vennero fatte sparire tra le ottomila e le diecimila persone. Le esecuzioni continuarono fino al 22 luglio. Drazen Erdemovic, poi processato e condannato per crimini di guerra, stimò che solo sul luogo di esecuzione in cui si trovava lui vennero assassinate dalle 1000 alle 1200 persone. In totale, si stima che le vittime dell’eccidio siano state tra le 8000 e le 10.000. Molti corpi non sono ancora stati trovati e identificati.
Il ruolo dell’ONU
All’indomani dell’eccidio di Srebrenica, l’Indipendent scrisse che per l’ONU si era trattato del “fondo del fondo dell’umiliazione”. Le Nazioni Unite rivelarono durante la guerra in Croazia e in Bosnia tutta la loro debolezza e incapacità di fermare non solo un conflitto, ma addirittura un genocidio. Di genocidio infatti si era parlato, già alla fine di aprile del 1993, in una durissima relazione redatta dai delegati di una commissione e inviata dal Consiglio di Sicurezza per studiare come si viveva nella zona protetta di Srebrenica, in cui si affermava che nella città si stava consumando “un genocidio al rallentatore”. Due anni dopo, al momento dell’eccidio vero e proprio, la velocità del meccanismo sarebbe rapidamente cresciuta; non si trattava di un termine generico, di un’espressione iperbolica finalizzata ad impressionare i superiori, ma di una precisa categoria giuridica, definita con una Convenzione votata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948.
e della Comunità europea
Il severo giudizio che investe le Nazioni Unite dopo il genocidio di Srebrenica non assolve certo le grandi potenze, a cominciare da quelle dell’Unione Europea, che non seppe mai muoversi unita. I tedeschi guardarono subito con istintiva simpatia alla Croazia, mentre la Francia, almeno inizialmente, simpatizzò per la Serbia, secondo gli schemi delle alleanze della Prima guerra mondiale; Inglesi e francesi, inoltre, spesso nascosero meschini interessi (la preoccupazione di un coinvolgimento troppo oneroso in termini di denaro e di vite di soldati uccisi) dietro la formula del non intervento, come avevano fatto al tempo della guerra civile spagnola.
APPROFONDIMENTI
Il genocidio di Srebrenica ventun anni dopo
Dopo Srebrenica, di Andrea Rossetti
La guerra in ex Jugoslavia: il lungo e controverso cammino della giustizia, 2015, Euronews
Ergastolo confermato per Ratko Mladic, il boia di Srebrenica, 2021, Euronews
Radovan Karadzic, colpevole o innocente?, 2016, Euronews