Negli anni del dopoguerra i giovani non avevano un’identità in quanto giovani, erano in tutto simili ai loro padri e alle loro madri: stesso abbigliamento, stessi interessi culturali e ricreativi, erano inseriti in un mondo di adulti in cui cercavano di imparare come muoversi. Dalla metà degli anni Cinquanta una cosa però cominciò a dividerli: la musica, il rock’n roll conquistò i giovani, mentre veniva generalmente odiato dagli adulti.
Le drammatiche esperienze del periodo della guerra influenzavano la visione del mondo dei giovani: smarrimento, pessimismo riguardo al futuro e confusione ideologica. Pochi giovani erano iscritti a partiti politici o sindacati, mentre molti di loro si avvicinarono alla religione, la Chiesa era presente in modo capillare su tutto il territorio, spesso in modo esclusivo, con le parrocchie e gli oratori in cui si ritrovavano tanti bambini e ragazzi; però anche i grandi partiti antifascisti come DC, PSI e PCI svolsero un ruolo pedagogico, attraendo presso le loro federazioni giovanili in misura crescente i giovani durante gli anni Cinquanta.
Nel corso di quegli anni però si ebbero due mondi giovanili distinti: i giovani nati negli anni Trenta, che avevano vissuto l’esperienza della guerra e ne conservavano distinta memoria, e quelli nati negli anni Quaranta, che non ricordavano il dramma del conflitto e maggiormente beneficiarono del clima di benessere che si andava diffondendo. In entrambi i casi, anche se con modi diversi, questi giovani vissero le contraddizioni della veloce modernizzazione, il clima cupo della guerra fredda, ma furono soprattutto i più giovani che si lasciarono affascinare dai nuovi consumi, dalle mode che arrivavano dagli Stati Uniti (rock’n roll, blue jeans, juke box) condannate unanimemente dalla Chiesa, per ragioni morali, e dal Partito comunista, che vedeva in esse le distorsioni del modello economico e politico americano.
Infatti furono proprio i nati negli anni Quaranta che cominciarono a sentirsi diversi dai loro genitori, che diventarono un soggetto sociale distinto e in questo furono aiutati dai consumi e dall’industria del tempo libero. Loro si sentivano più ottimisti riguardo al futuro, volevano sottrarsi all’etica del sacrificio che aveva accomunato i loro padri, volevano divertirsi, erano più laici e per questo il mondo adulto li considerava individualisti e privi di ideali. Cominciava così a delinearsi quel divario generazionale che è tipico della società contemporanea, genitori e figli non condividevano più aspirazioni, vita quotidiana, tempo libero, ideali, la famiglia venne desacralizzata e il giovane tendeva a vivere molto di più fuori da essa.
Un esempio di questa separazione tra i due mondi è la nascita, negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, della cultura beat, contraddistinta da disagio, spirito di ribellione e rifiuto dei valori tradizionali, che i giovani esprimevano soprattutto attraverso l’arte e la musica. Il beat si diffuse anche in Italia, grazie a diversi gruppi musicali e cantautori, e identificò comportamenti e mode, come il ballo shake, la minigonna, i pantaloni attillati e le camicie dai colori sgargianti, i capelli lunghi e la protesta.
La protesta, soprattutto nelle grandi città americane, ma anche italiane, divenne spesso teppismo, nacquero i teddy boys e i grandi miti dei personaggi dei film di Marlon Brando e James Dean.
“I giovani diventano un mito di massa nello stesso momento in cui diventano un problema sociale (teddy boys, gioventù bruciata) e un vasto e promettente mercato” [A. Portelli, Il tempo in bilico]