Omarska, insieme a Trnopolje e Keraterm, fu uno dei campi realizzati per la pulizia etnica delle popolazioni non serbe della regione di Prijedor dove, dal marzo all'agosto del 1992, vennero internate almeno 3.000 persone, molte delle quali furono assassinate o risultano disperse. Intorno a questi campi vennero in seguito rinvenute numerose fosse comuni.
Il nome ufficiale dato dalla polizia serba al campo di Omarska era “Centro investigativo”, un luogo di raccolta per uomini sospettati di fare parte dell’esercito clandestino musulmano. In realtà le testimonianze di chi vi fu internato hanno rivelato condizioni disumane di trattamento; i prigionieri vivevano in situazioni di igiene precaria, soffrivano il freddo, erano malnutriti, venivano picchiati e torturati quotidianamente a volte fino alla morte, le donne violentate. Bosnia and Herzegovina death camps for muslims Omarska/Trnopolje,ITN (Indipendent Television News), 6.08.1992)
Spesso furono conoscenti o vicini di casa a esercitare queste violenze sui propri concittadini. Tristemente nota la storia di Dusko Tadič, barista della città che si trasformò in terribile aguzzino nei confronti delle sue vittime. Il primo imputato del Tribunale Internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia accusato di persecuzione, omicidio, stupro fu proprio lui; così pure Milan Kovacevic, direttore dell’ospedale della città che fu considerato una figura di primo piano nella gestione di questi campi.
La fabbrica di Omarska e l’intera area mineraria sono oggi di proprietà del colosso mondiale dell’acciaio, la multinazionale anglo-indiana Arcelor-Mittal. Alla richiesta da parte dell’Associazione dei familiari delle vittime di realizzare un piccolo memoriale nei pressi della “Casa Bianca” all'ingresso della fabbrica,che fu il luogo degli interrogatori e dei pestaggi nel 1992, la Arcelor-Mittal ha risposto con un diniego, in ossequio ai nazionalisti che ancora oggi non vogliono riconoscere la tragedia che si consumò in quel sito industriale e nella vicina Trnopolje (La multinazionale e il campo di Michele Nardelli).
Ed Vulliamy , il giornalista del “Guardian” che per primo denunciò l'esistenza del campo e le atrocità che in esso venivano commesse, già nel 2004 aveva espresso la sua preoccupazione “che Omarska come prova tangibile di quel che è stato, sparisca; che le camere nelle quali le donne sono state violentate, vengano risistemate; che la mensa dove gli uomini aspettavano in fila per un piatto di zuppa insipida, offra ai lavoratori pasti in fretta e furia; che il cortile in cemento dove molti uomini furono massacrati, diventi un parcheggio per scintillanti Škode; che l'hangar dove gli internati se ne stavano rannicchiati gli uni contro gli altri, torni ad essere nuovamente un deposito; che la Casa bianca e rossa, dove gli uomini sono stati fatti a pezzi e torturati fino alla morte, vengano demoliti o riutilizzati come magazzini per gli attrezzi…”, i timori di Vulliamy si sono dimostrati fondati. (Ed Vulliamy talks Omarska Camp).
L’esistenza di campi destinati alla pulizia etnica viene ancora oggi negata dalle autorità della Repubblica Srpska e della Municipalità di Prijedor.
APPROFONDIMENTI
Bosnia 1992: The Omarska Camp - Al Jazeera World Bosnia 1992.
Omarska, 15 anni dopo di Chris Keulemans, 2007
Luca Rastello, La guerra in casa, capitolo VI, Einaudi