L'altro volto dell’Europa. I Balcani tra integrazione europea e diritti umani

Srebrenica

Srebrenica, antica cittadina mineraria, sede un tempo di un rinomato centro termale, è situata   nella  Bosnia orientale, vicino al fiume Drina che   segna  il confine con la Serbia, oggi territorio della Repubblica Sprska.

Dal 1992 al 1995, durante le guerre degli anni Novanta, subì un   lungo assedio,  che si concluse drammaticamente nel luglio del 1995 con il massacro di più di  8000 bosniaci musulmani, che oggi viene riconosciuto come il primo genocidio avvenuto in Europa dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.  Dopo la fase della guerra in Croazia, si aprì un nuovo fronte in Bosnia Erzegovina, dichiaratasi indipendente dalla Federazione  jugoslava con un referendum nel 1992.

Nel marzo del 1993 iniziò la prima grande offensiva serba contro   Srebrenica, dopo che erano già state messe sotto attacco e conquistate dai serbi  anche l’enclaves minori di Cerska e Konjevic Polje, da cui fuggirono migliaia di profughi verso Zepa, Gorazde e Srebrenica.  All’interno della città si rifugiò una grande folla di profughi, che fuggivano di fronte all’avanzare delle truppe serbe. Srebrenica, che secondo il censimento del 1991 contava circa 30.000 abitanti,  giunse ad accogliere circa 60.000 persone che si trovarono a sopravvivere in condizioni di gravissimo disagio poiché mancavano  l’acqua corrente e l’elettricità. Non era possibile offrire né viveri, né alloggio, né riscaldamento (si era in pieno inverno) a un numero così elevato di individui.
Ogni giorno morivano tra le 30 e le 40  persone per fame, per mancanza di assistenza medica, per i combattimenti. 


L’arrivo del generale francese Morillon

L’11 marzo del 1993, nel momento in cui la situazione stava per precipitare (i militari erano privi di munizioni e la città sul punto di arrendersi) giunse a Srebrenica il generale francese Philippe Morillon, comandante dell’Unprofor (Forza di protezione delle Nazioni Unite). Nelle sue intenzioni, la visita a Srebrenica doveva essere breve, finalizzata solo a smentire le accuse mosse contro la sua persona. In realtà, Morillon si trovò nell’impossibilità di ripartire, in quanto fu letteralmente assediato da una folla di civili disperati che chiedevano il suo aiuto. In seguito emerse che la manifestazione non era stata spontanea (e il suo risultato di fatto: il sequestro della massima autorità militare dell’ONU operante in zona) ma era stata organizzata dal sindaco di Srebrenica, Murat Efendic. Il quadro, comunque, era tragico, la necessità di rifornimenti di viveri e medicine era urgente e drammatica. Il 13 marzo 1993, Morillon riuscì ad abbandonare Srebrenica e a ordinare che la città fosse raggiunta da tre convogli umanitari. Migliaia di persone approfittarono dei camion dell’ONU per fuggire dalla città, creando una situazione di difficilissima gestione. Il governo bosniaco, infatti, si oppose a questa evacuazione in massa, affermando che di fatto non faceva che avallare il progetto serbo di una pulizia etnica della regione. Durante tutto il mese di marzo si svolsero trattative per evacuare i profughi e far arrivare in città aiuti umanitari. 


La risoluzione 819 dell’ONU dichiara Srebrenica “area protetta”

Quanto ai serbi, il 13 aprile ripresero la loro offensiva con pesanti bombardamenti sulla città. Per risparmiare la città, i Serbi ne chiesero la resa con  la consegna di 500 militari impegnati nella difesa della città e l’evacuazione della popolazione musulmana; ciò spinse il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad una riunione d’emergenza in cui fu approvata la Risoluzione 819 del 16 aprile 1993, con cui  Srebrenica venne dichiarata area protetta, “libera da ogni attacco armato o da qualsiasi altra azione nemica”. 

All’alba del 18 aprile, musulmani e serbi si impegnarono a rispettare l’accordo: i primi a cedere le armi, i secondi a non proseguire bombardamenti e attacchi. Alle ore 11, entrarono a Srebrenica 147 caschi blu canadesi, incaricati di predisporre una pista di atterraggio per gli elicotteri che avrebbero evacuato i feriti, di monitorare il cessate il fuoco e disarmare i musulmani.(“impedire la conquista da parte dei serbi e procedere alla smilitarizzazione delle forze musulmane”). 

Il 21 aprile, un comunicato stampa ufficiale dell’UNPROFOR definì l’operazione “un successo”; in realtà, i musulmani avevano nascosto la maggior parte delle armi, invece di consegnarle; i serbi avevano preferito, per il momento, concentrare le proprie forze su altri obiettivi, che non fossero sotto i riflettori della stampa internazionale; le truppe ONU erano una presenza puramente simbolica, che non avrebbe potuto impedire l’eventuale ripresa delle ostilità, da una parte o dall’altra. 


La Risoluzione 824 del maggio 1993

Il 6 maggio 1993, con la risoluzione 824, vennero  dichiarate “aree protette”, oltre a Srebrenica e Sarajevo, anche Bihac, Tuzla, Gorazde, Zepa, venne  chiesta un’immediata cessazione degli attacchi contro di esse, il ritiro di tutte le unità militari serbe a una distanza dalla quale non avrebbero potuto costituire una minaccia in queste zone. Il rapporto della Commissione Mazowiecki sulle sei enclaves segnala le disumane condizioni di vita nelle zone assediate e i massacri di civili compiuti a Cerska,Velici, Muskici e su colonne di profughi in cammino verso Tuzla. L’8 maggio si firmò per  un cessate il fuoco e per la smilitarizzazione di Srebrenica e Zepa che vennero affidate ai caschi Blu dell’Onu.

L’attacco e la conquista di Srebrenica nel  luglio 1995 

Le ostilità ripresero all’inizio del 1995. L’esercito serbo bosniaco interruppe di nuovo l’afflusso dei rifornimenti di energia elettrica e  gas. 

Tra il 6 e l’11 luglio 1995 avvennero l’attacco e la conquista fulminea di Srebrenica da parte delle truppe serbe al comando del generale Ratko Mladic e di Radislav Krstic, con il supporto dei gruppi paramilitari serbi mercenari (Lupi della Drina, le Tigri di Arkan, i cetnici di Seselj). Avanzando soprattutto da Sud, si mossero contro la città circa 2000 uomini e 500 carri armati, mentre il piccolo contingente ONU era formato da soldati olandesi, comandati dal tenente colonnello Ton Karremans. È possibile che Mladic volesse solo sondare la reazione delle truppe ONU di fronte ad un’aperta violazione della zona di sicurezza, alla luce del nuovo scenario internazionale, sempre più ostile nei confronti dei serbi. Karremans, infatti, chiese l’appoggio degli aerei della Nato che, per quanto le richieste fossero state più volte ripetute, non arrivò mai. Le truppe serbe obbligarono alla resa i soldati olandesi degli avamposti più avanzati, catturandone 55.


APPROFONDIMENTI

Srebrenica, raccontata da Azra Nuhefendić - audio

Testimonianza di Irvin Mujčić, Firenze 2020

Elvira Mujčić racconta Srebrenica, Firenze 2014

Interview with Srebrenica survivor: Hasan Hasanović 

Roberta Biagiarelli racconta "A come Srebrenica"

Srebrenica, un assedio di e con Roberta Biagiarelli (dramma radiofonico), 2020