I movimenti studenteschi, il Sessantotto, gli anni di piombo, il Settantasette

Gli anni Sessanta videro i giovani costituirsi come gruppo sociale autonomo, che si voleva dare un’identità collettiva trasgressiva e conflittuale, ma nello stesso tempo, i loro consumi e il condizionamento che su di essi veniva operato furono uno strumento per integrare i giovani nel contesto economico dell’Italia del boom.

Un esempio di questo fu la cultura “beat”, un insieme di mode che volevano segnare discontinuità rispetto al passato, quindi trasgressive (in campo musicale nacquero numerosi complessi, ma anche locali come il famoso Piper e trasmissioni come “Bandiera gialla” che veicolavano una musica alternativa rispetto a quella del mondo degli adulti; per ciò che riguarda il look si imposero i capelli lunghi anche per i ragazzi, i jeans e le minigonne), ma queste mode volevano trasmettere anche nuovi messaggi: rifiutare il passato, l’autoritarismo e il perbenismo del mondo degli adulti, cercare relazioni più vere e profonde nel gruppo di coetanei, sostenere la creatività e lottare per la pace.

A metà degli anni Sessanta, grazie alla diffusione della scolarizzazione di massa, si arrivò a identificare i giovani con la categoria di studenti. Il loro bisogno di vivere insieme e il più possibile fuori dal mondo famigliare favorì la nascita di numerose associazioni all’interno delle scuole superiori e delle università, portò al fiorire di giornalini d’istituto con cui i ragazzi volevano diffondere le loro idee su temi d’attualità, come la guerra in Vietnam, l’apartheid in Sud Africa o l’educazione sessuale, ma che furono sempre controllati e censurati dai presidi e dalle autorità scolastiche. Il caso più famoso fu quello del giornalino “La Zanzara” del Liceo Parini di Milano, che nel febbraio del 1966 pubblicò un’inchiesta dal titolo “Che cosa pensano le ragazze d’oggi?” a seguito della quale tre studenti, il preside e la tipografia furono incriminati per pubblicazione di stampa oscena.

La cultura “beat” degli anni Sessanta, basata sul rifiuto del perbenismo, sulla critica alla famiglia, sulla rivolta all’autoritarismo, sul desiderio di nuove forme di socializzazione, confluì tutta nel movimento del Sessantotto. Il movimento che prese il nome da quell’anno, anche se i limiti cronologici sono più sfumati, rappresentò l’incontro dei giovani con la politica, una politica assunta come valore in sé, per il quale spendersi e vivere nel quotidiano, insieme agli altri giovani e contro il mondo degli adulti e tutto ciò che esso rappresentava. La rivolta del Sessantotto interessò soprattutto il mondo della scuola, vista come uno spaccato di una società autoritaria e antidemocratica, furono organizzate manifestazioni, occupazioni di scuole e università, lezioni autogestite e collettivi studenteschi. Ma il Sessantotto significò anche condanna alla guerra in Vietnam, lotta per i diritti delle minoranze e soprattutto travolse la mentalità comune, il sentire delle generazioni passate, le istituzioni tradizionali come la famiglia e lasciò una società sicuramente più laica e antiautoritaria.

Negli anni Settanta il conflitto generazionale si legò a quello sociale, che si era inasprito a causa della situazione socio-economica italiana, complicata dalla crisi finanziaria e da quella petrolifera che si erano diffuse agli inizi del decennio. A metà degli anni Settanta la disoccupazione giovanile triplicò rispetto a quella del decennio precedente e questo fomentava la conflittualità sociale, di cui i partiti non seppero farsi interpreti. Si assistette a una crisi di identità del mondo giovanile, il bilancio dell’agire politico che aveva caratterizzato i movimenti del decennio precedente sembrò negativo. La conflittualità sociale e il sistema politico incapace di rinnovamento costituirono il terreno fertile per il terrorismo che, nelle sue varie forme, caratterizzò gli anni Settanta, spesso chiamati “anni di piombo”, e coinvolse molti giovani.

L’ultima grande ondata di mobilitazione giovanile del decennio fu il Settantasette, caratterizzato dalla contestazione al sistema dei partiti e dei sindacati, espressa in forme spesso vicine alla lotta armata. I protagonisti non furono gli studenti, o meglio non solo gli studenti, spesso erano giovani disoccupati provenienti dalle periferie degradate delle grandi città. Il movimento rappresentò un periodo tormentato, caratterizzato da una grande diffusione di droghe, e sancì definitivamente la fine del tempo dell’utopia, dell’idea che il futuro potesse essere cambiato collettivamente.

Con la fine degli anni Settanta entrò quindi in crisi il modello della “militanza politica”, l’idea di un impegno collettivo per cambiare la società, pertanto in seguito si assisterà a un mutamento delle forme di partecipazione politica giovanile.

Un discorso a parte merita il movimento femminista, che tra anni Sessanta e anni Settanta vide tante ragazze unire alla protesta nei confronti della società e delle istituzioni, quella per il riconoscimento delle esigenze e delle aspirazioni femminili, in particolare il riconoscimento di un’uguaglianza giuridica tra uomini e donne e il superamento di una mentalità retrograda che esprimeva una visione del ruolo femminile nella società non più accettabile dalle nuove generazioni di ragazze.